Il festival “Senza Frontiere” Różanystok ha sempre avuto una formula internazionale. Oltre a giovani e artisti provenienti da diverse parti della Polonia, ogni anno partecipano artisti provenienti da tutte le parti del mondo: giovani provenienti da case salesiane in Albania, Uganda, Perù, India e Ucraina.

Ogni anno i giovani Ucraini hanno partecipato a questo festival ma, fino ad ora, si è sempre trattato di un viaggio piacevole e divertente per fare conoscenze internazionali nello spirito di animazione salesiana. Quest’anno purtroppo, la situazione è totalmente diversa: ora sono dei giovani rifugiati in fuga da una guerra.
La mensa in questi giorni è sempre piena anche se serve i pasti in due turni, sono ospitati circa 300 bambini e ragazzi e si esibiscono più di 20 artisti.

Oltre agli spettacoli, ogni giorno vengono organizzati laboratori attraverso i quali gli artisti trasmettono ai giovani interessati, i segreti delle loro straordinarie abilità: canto, acrobazie, arti sceniche, percussioni, tutte le forme di giocoleria, arte della mimica, teatro dei burattini, beat boxing, rap e break dance.

Abbiamo raccolto la testimonianza di un giovane polacco che in questi giorni ha partecipato al Festival “Senza Frontiere” di Różanystok e lì ha interagito con giovani provenienti da diverse nazionalità, ma quello che lo ha colpito è stato un dialogo fatto di sguardi, espressioni e comportamenti, che ha avuto con due ragazzi di nazionalità Ucraina che erano ospitati nel centro Salesiano dove si svolge il festival.
“Ho partecipato ad una cena – ci dice – in compagnia di un ragazzo e una ragazza, rispettivamente di 11 e 13 anni. Al loro tavolo c’era un posto libero, così ho chiesto se potessi sedermi con loro. E con un gesto hanno acconsentito. Questi bambini venivano dall’Ucraina ed erano fuggiti in Polonia a causa della guerra.
Per poter intavolare una conversazione con loro, ho chiesto se parlassero il russo e mi hanno risposto di sì, così abbiamo iniziato a dialogare.

Da subito la conversazione è stata un turbinare di emozioni.
Come si fa a non provare emozioni quando una bambina, fin troppo seria per la sua età, dice a bassa voce: “Sono qui con mia nonna; i miei genitori sono rimasti a casa” e i suoi occhi si si velano leggermente, “Lui è qui con sua madre”, aggiunge. Il ragazzo, in silenzio, ingoia un boccone e annuisce con la testa.
Ho chiesto se la loro città fosse stata bombardata e, mentre le parole uscivano dalla mia bocca, ho capito immediatamente che non avrei dovuto fare quella domanda, ma ormai era tardi. La ragazza, sempre con un tono incredibilmente calmo, dice come se si trattasse di qualcosa di banale e ordinario: “Sì, ci sono stati dei bombardamenti”, e il ragazzo annuisce di nuovo.
Il modo con cui sono state delle quelle semplici parole mi ha toccato il cuore e da quel momento ho evitato qualsiasi riferimento alla guerra. Continuiamo la nostra conversazione informale, toccando solo gli argomenti leggeri.
Mi dicono che il Festival è meraviglioso, perché partecipano ai laboratori e cercano di imparare cose che non hanno mai fatto prima. Si stanno divertendo e hanno trovato un po’ di serenità.
Finito di cenare e li ho ringraziati per il pasto insieme, ma loro sono rimasti a tavola a parlare ancora per un po’ delle loro cose, che nessun europeo può davvero capire. E non solo perché parlano in ucraino”.
Il giorno dopo, tra gli adulti, parlo con i tutori Ucraini di due gruppi di bambini ucraini. Li sento usare termini che ormai sono internazionali uno tra tutti mi ha colpito: trauma, mentre parlano di bombardamenti, di artiglieria pesante, di combattimenti e della conquista della loro città natale.
Della vita che si vivrà in quella città occupata ormai dalle truppe russe, della drammatica decisione di andare all’estero, dei posti di blocco russi, dei lunghi interrogatori da parte di soldati armati, dei rottami di auto bruciate e schiacciate sul ciglio della strada, dell’enorme folla di donne e bambini sulla banchina della stazione ferroviaria di Leopoli, del sollievo dopo aver attraversato il confine e del sollievo ancora più grande quando si è scoperto che tutti gli ucraini sono autorizzati a passare in Polonia senza alcuna restrizione.
Raccontano anche di essere stati accuditi da enti di beneficenza polacchi, dal governo locale e da quello centrale e, soprattutto mi raccontano della nostalgia di casa.
Dopo tutto, anche se intorno si riceve tanta solidarietà, è sempre meglio essere a casa, in famiglia, accanto a persone che amiamo e che parlano la nostra stessa lingua.”


Ringraziamo la comunità salesiana che sa accogliere e confortare, che in ogni luogo cerca di creare un ambiente sereno per la crescita dei giovani.
E ringraziamo te per l’importante aiuto che ci offri e che ci permette di sostenere le iniziative dei figli di Don Bosco.
Ogni piccola offerta contribuirà a migliorare la vita di questi giovani e tu sarai parte importante di questa crescita.